La silloge ¡u! è certamente un’opera di poesia molto singolare. Sebbene presenti
indubbie difficoltà di interpretazione immediata, più di un aiuto è offerto da una nota
dell’autore («¡u! è il racconto di una quotidianità di lavoro dove talvolta discendo in
tombini semisotterranei, altre volte leggo i contatori dell’acqua a livello del piano
stradale. ¡u! è anche la narrazione dell’abisso dell’amore»), poi da un verso di una
canzone dei Nirvana «Throw down your umbilical noose so I can climb right back»
(«Getta il tuo cordone ombelicale così posso arrampicarmi dentro») e dal breve esergo:
«Guardami: io non esisto».
Sia la prima parte (In descensus inferis) che la seconda (Chiara luce) inquietano
il lettore per la particolarità della loro tecnica espressiva e per le conseguenti
impressioni suscitate dalle immagini. Scartata l’idea di un inquadramento in correnti
letterarie moderne, finisce per prevalere il convincimento che quest’opera poetica
debba essere valutata, come del resto ogni opera d’arte, per quella che è, cercando di
coglierne i temi essenziali espressi. Soltanto così si perviene a considerarla, nella sua
globalità, come una poetica d’amore dominata da una compulsiva passionalità, ispirata
da una donna a più nomi (Sibilla Pavese, Cinzia, Musa nera) che l’autore non può che
amare se non di «un amore doloso come un musicante oltre il muro del suono».
Protagonista assoluta dei versi, che ruotano intorno al fascino misterioso della sua
figura, “lei”, pur con fugaci apparizioni, prorompe sulla scena con una intensa
femminilità che sconvolge l’amante, senza che lui riesca a sfuggire a una fatale
attrazione, essendo lei penetrata in tutti gli angoli del suo mondo psichico e
interiormente fisico, inestricabilmente collegati, e come tali ingovernabili.
Vero è che alcuni componimenti sembrano riportare alla mente la “poesia pura”
(di cui ai poeti maledetti francesi), ma la maggioranza dei versi guarda alla parola
sempre come mezzo e mai come fine, perseguendo l’intento di creare, attraverso un
lessico ben congegnato di voci tecniche e preziosismi stilistici, delle atmosfere molto
suggestive, fatte avvertite al lettore, senza presentarle descrittivamente. Sono quelle
atmosfere a preparare l’evenienza di potenti flash amorosi, siano essi rappresentati da
una presenza reale o immaginaria.
L’autore, avvalendosi dei notevoli pregi di un lessico ricercato che soddisfa
appieno le esigenze sceniche della sua creatività, ha la grande capacità di creare i
contesti più vari, che non descrive né definisce ma fa avvertire come per un incantesimo
e, quando è riuscito a immergere il lettore in quel contesto, lo investe quasi sempre con
un’immagine sensuale di rara e potente efficacia visiva. Esprime così, in ultima analisi,
non solo l’attrazione sessuale che lo divora, ma l’essenza di un amore che non si evolve
in gioia e in soddisfacimento dei sensi, ma finisce per essere una visione irreale,
immaginaria, da sogno tormentoso dell’amante; una visione che si autoconsuma
(annegando persino «all’angolo agitato della sua amara bocca»), e si esaurisce in sé
stessa, a conferma della definita «narrazione dell’abisso dell’amore», quell’amore
naturalmente da lui vissuto, che lo rapisce d’improvviso, anche nei luoghi seminterrati
dove discende, come in un abisso, per la lettura dei contatori dell’acqua, nel buio, tra i
ragni e le acque reflue, inalando le esalazioni di umido terriccio. Da qui, l’ulteriore
valore dell’omogeneità di questa silloge.
Si ribadisce il singolare valore poetico della presente silloge che, per le
particolarità stilistiche che essa presenta, è ritenuta meritevole del Premio della Critica,
anche per riconoscerle un pregio dal colore accademico.
Gennaro Iannarone