¡U! Recensione di Claudio Pagelli – 2 febbraio 2021

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Di Claudio Pagelli

Intrigato dal titolo, selvatico e primordiale, che vede la diciannovesima lettera dell’alfabeto accompagnata da una doppia esclamazione, ho letto e riletto, con attenzione e curiosità, la silloge poetica “¡U!” (2020, Puntoacapo), inviatami dallo stesso Autore, Giancarmine Fiume. Illuminante la prefazione di Michelangelo Zizzi che aiuta ad affrontare il non facile percorso, fatto di aperture e chiusure, di vertigini e di abissi, non a caso diviso in due sezioni: In descensus inferis e Chiara luce. Due anche le tematiche affrontate: l’Amore e il Lavoro.

La raccolta, senza dubbio alcuno, si presenta densa e complessa. Partendo dall’epigrafe, Throw down your umbilical noose so I can climb right back (letteralmente: Tira giù il tuo cordone ombelicale così che io possa scalarlo per tornare indietro), non appartenendo alla Letteratura stricto sensu, bensì alla canzone Heart-Shaped Box, del gruppo musicale statunitense Nirvana, sin da subito rende intuibile la non convenzionalità del Nostro.

Giancarmine, infatti, viene dalla maturità scientifica e dagli studi di Filosofia, suona il basso elettrico e nel quotidiano è un rilevatore di contatori. Di questa complessità, umana e culturale, ne è testimone, in primis,  il lessico estremamente ampio –  termini tecnici (caditoia, nitrile, autoclave), medico-scientifici (esantema, gastroscopia), religiosi (acquasantiera, tabernacoli, sudario), classici (vestali, etere, empireo) – costringendo all’attenzione febbrile il lettore.

Non ci troviamo quindi al cospetto, se non in rari momenti, di una Parola immediata, a facili interpretazioni. Il significato va conquistato, sembra suggerire Fiume. Bisogna scavare, farsi largo, guardare dentro, intuire. E poi, scavare ancora. Alla ricerca ossessiva di una risposta, di un barlume di Verità. Il registro duplice – prosastico e lirico – portano alle volte il Poeta a volare in cieli quasi astratti e visionari, alle volte invece a lambire la dura terra della narrazione, come nella lunga poesia d’apertura “Alle otto e mezza antimeridiane c’è l’esilio sulla strada di luminarie spente” che ci riporta in un certo qual modo al realismo di Pasolini, finanche alla voce sferzante di Simone Cattaneo.

Due cose certamente presenti – l’urgenza del dire e una certa grazia, capaci di tenere insieme una cospicua dose di elementi eterogenei (stilistici e lessicali), pur ricondotti tutti al tema principale: l’Amore. E’ l’Amore, infatti, il centro, il cuore pulsante della raccolta. Un amore profondo e tormentato che – citando il Prefatore – subisce eclissi, perturbazioni, rarefazioni, o che pure acceca, si dispiega, costruisce forme. Ed è proprio dalla tensione degli opposti che nascono gli esiti migliori, versi di carne, vivi e veri: Eccoti ancora in puntuale divenire/nelle occhiaie struccate e tacco dodici/sulla tovaglia di plastica/dissipare lo sciabordio delle ore/contro il mio sterno incrinato/mentre ti lecco le rughe all’addiaccio/del tuo selvatico transitare/da un’ altare in ghisa diametro settanta/e dalle bocche di lupo arrugginite/c’investe l’onda d’urto pericardiale.

Si concorda altresì con  Paolo Artale, quando parla, in una intervista a Fiume, di Poesia del Buio e della Luce, di Discesa e Ascesa, di un sistema binario che pare presente dall’inizio alla fine, configurando l’opera come Poema. Concludendo – a livello formale si segnalano la cura, non banale, di rime e assonanze, l’originalità di alcune immagini (es.“ecografia dell’amarezza”) e lo splendido distico di chiusa: “Seguimi, oltre le palpebre/ così, spoglia di gravità.” Un esordio che ricorda, insomma, una eruzione vulcanica, una frana di sassi, una slavina. Qualcosa di potente, qualcosa di imprevedibile. Qualcosa, certamente, di autentico.

Link dove leggere la recensione online:

almanaccopunto.com

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